
Helm e Houssem sono gemelli da 17 anni, la loro forza è Gharsallah Zied, il fratello maggiore, che vive e lavora in Italia, a Vittoria, in provincia di Ragusa, e che ha fatto richiesta di ricongiungimento familiare passando per il Progetto Form@.
Mahdia, in Tunisia, è la città che li ha visti nascere e crescere.
“Il nostro piccolo villaggio d’origine ha un nome – Tlelsa – e poco altro:” – ci confessa Helm – “povertà, abbandono ed isolamento si riflettono nella scarsità di infrastrutture, di mezzi di trasporto (eccezion fatta per i motorini) e nella mancanza di lavoro”.
Vivono con l’anziana madre, che è la prima a spingerli per raggiungere i fratelli in Italia, sperando in una prospettiva di benessere e serenità per loro e per le loro future famiglie. Il padre è morto quando erano ancora piccoli, di lui hanno ricordi soltanto vaghi e sfumati, ma è un’assenza che ancora oggi pesa parecchio.
“Le giornate trascorrono identiche, gemelle come noi due,” – prosegue Houssem – “il nostro tempo cerca appiglio in una chiacchierata tra coetanei o nelle camminate lungo quei campi arsi e secchi, così simili alle nostre condizioni di vita attuali.”
Come la maggior parte degli adolescenti della zona, i due giovani tunisini hanno dovuto dimenticare ben presto, già all’età di tredici anni, il significato delle parole “educazione” e “formazione”. Gli ostacoli di natura economica non gli consentivano infatti di continuare con gli studi e di raggiungere le scuole che si trovano troppo lontane dalle loro modeste abitazioni.
È un luogo assai particolare dal punto di vista demografico quello da cui provengono: composto quasi esclusivamente da donne e minori. Uomini e maggiorenni fuggono invece da una condizione di generale ristrettezza, cercando fortuna e lavoro lontano da un posto a cui non sentono troppo di appartenere. La meta prescelta è l’Italia. Per molti la trafila è regolare. Per altri, come i loro due fratelli, il destino è stato meno clemente: il consolato aveva rifiutato loro il visto, costringendoli a preferire il rischio di un viaggio drammatico in mare rispetto all’orizzonte arido e secco della loro terra.
Ora vivono regolarmente in Italia: uno di loro lavora in un ristorante a Roma, mentre l’altro è bracciante agricolo a Ragusa.
“Noi guardiamo oltre i campi arsi e inospitali ed intravediamo l’Italia, con la sua promessa di integrazione e dignità. Ci piacerebbe imparare l’italiano, la cui cadenza ci sembra già un po’ familiare grazie ai racconti di fratelli, parenti e vicini di casa. Ci piacerebbe poter contare su una giusta assistenza sanitaria perché nel nostro Paese “malattia” non fa rima con “cura”, ma con “dolore” e “sofferenza”. Sogniamo anche di fare della nostra passione, il calcio, un lavoro, e di ammirare da vicino squadre prestigiose come Milan e Juventus. Saliremmo volentieri in cima alla Torre di Pisa e saremmo felici di visitare tutte quelle meraviglie che finora abbiamo conosciuto solo in foto o in televisione”. Queste le parole piene di speranza e di fiducia che ci consegnano i due giovani gemelli.
Nel frattempo, si sentono di riporre grandi aspettative nel Progetto Form@, dal quale si aspettano di poter ricavare i seguenti benefici: assistenza e affiancamento rispetto alle procedure da seguire con il consolato italiano; la possibilità di beneficiare di un sistema di formazione su più livelli, non solo di tipo linguistico ma anche sui diritti e sui doveri previsti dall’ordinamento italiano; indicazioni utili e precise per agevolare e favorire il loro percorso di integrazione una volta giunti in Italia.