“Spesso mi chiedono come faccio a fare scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo… Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola”. Così scriveva mezzo secolo fa Don Milani, regalandoci una riflessione che oggi potrebbe riassumere il senso dell’esperienza di Martina, insegnante di italiano per stranieri impegnata nei progetti di ricongiungimento familiare del Progetto Form@.

“Lavoro ormai da cinque mesi a Delhi per la VFS Global, società che collabora con le ambasciate e fornisce servizi connessi alle pratiche di richiesta visto”, racconta la giovane. Martina ha passione e grinta da vendere: “Ogni giorno ho l’opportunità di confrontarmi con decine di persone e faccio una delle cose che amo di più: insegnare le lingue”.

La giovane insegna l’italiano alle persone che dall’India, e in particolare dallo stato del Punjab, vogliono arrivare in Italia per riabbracciare i loro cari. Un mestiere bello ma non semplice, che spesso  deve scontrarsi con le difficoltà pratiche.

“Quando ho iniziato ad insegnare l’italiano ai richiedenti ricongiungimento ero entusiasta, ma presto ho dovuto confrontarmi con la dura realtà: moltissime famiglie dei richiedenti risiedevano in villaggi troppo lontani da Jalandhar, città dove si sarebbero tenute le lezioni”, racconta Martina.

Una situazione non facile da affrontare per questa giovane insegnante: “Le persone si rifiutavano già alla prima telefonata. Oppure si dicevano interessate, ma al momento di fissare la prima lezione si tiravano indietro”. Coloro che partecipano ai programmi di formazione – racconta Martina – sono solitamente mogli o ragazzi molto giovani, desiderosi di costruire una nuova vita insieme al loro amore e ai loro cari lontani dalla terra natia.

“Io e i miei colleghi abbiamo insistito spiegando quanto fosse importante imparare la lingua, ma le risposte ottenute erano spesso demoralizzanti”, dice Martina. Ma lei, nonostante le difficoltà, non si è arresa. Dopo tanta fatica e tante telefonate, la giovane insegnante e i suoi colleghi sono riusciti a formare la prima classe.

Gambe in spalla e passione in tasca, Martina è andata a Jalandhar per incontrare i primi studenti. Si trattava di due ragazzi e due mogli: tutti conoscevano già qualche parola di italiano. “Ho visto subito molto entusiasmo e partecipazione. Classe dopo classe, le mie lezioni si sono trasformate in occasioni di scambio culturale e umano”, dice sorridendo.

L’insegnante, si sa, è una figura di grande valore nell’immaginario collettivo perché di grande valore è la funzione che svolge quotidianamente. E la scuola, quando è vera scuola, diventa luogo di reciprocità, di incontro, di convivenza. Può testimoniarlo Martina che, grazie all’insegnamento e a Progetto Form@, ha scoperto un universo di storie e di umanità, al di là della grammatica e delle regole linguistiche.

La sua felicità ora è grande: “Ho visto i sogni brillare negli occhi di chi spera di riabbracciare i propri cari. Ho scoperto che esiste qualcosa di più, al di là della fredda modulistica. Mi sono scontrata con la diffidenza e le difficoltà ma, alla fine, ho gioito vedendo i miei studenti ritrovare le persone amate”.

Perché non conta come fai scuola, ma com’è chi la scuola la fa. Perché l’Italia non è poi così lontana e, quando c’è la forza del legame familiare, mettere su casa a migliaia di chilometri dal posto dove si è nati non è impossibile.